
Con l’entrata in vigore del Digital Services Act (DSA) il 17 febbraio 2024, l’Unione Europea ha lanciato la sua sfida più ambiziosa contro i giganti del web. La missione: trasformare internet in un posto più sicuro.
Immaginiamo Internet come una città senza regole, dove chiunque può dire qualsiasi cosa senza conseguenze. Il DSA può essere considerato come il corrispettivo di un ‘codice della strada’ digitale, con un obiettivo chiaro e ambizioso: rendere le piattaforme online più sicure, trasparenti e responsabili.
Cosa cambia davvero per gli utenti?
Per la prima volta, quando un post viene rimosso o il nostro account viene sospeso, abbiamo il diritto di sapere perché. Non più decisioni prese nell’ombra: le piattaforme devono spiegarci le loro scelte e darci la possibilità di contestarle. Non solo, se non siamo soddisfatti della risposta, possiamo fare ricorso attraverso un percorso che può arrivare fino ai tribunali. È come avere finalmente un ‘avvocato digitale’ dalla nostra parte. Il DSA rappresenta il tentativo più concreto dell’Europa di combattere la disinformazione con la forza della legge. L’idea è semplice ma rivoluzionaria: creare regole comuni per tutti i 27 Paesi dell’Unione, così che una fake news non possa più ‘rimbalzare’ da una piattaforma all’altra o da un Paese all’altro senza conseguenze.
DSA e diritti LGBTQIA+: una rivoluzione a doppio taglio
Il Digital Services Act potrebbe essere il game-changer che la comunità LGBTQIA+ aspettava da anni. Ma come ogni rivoluzione, porta con sé luci e ombre che vale la pena esplorare.
La prima grande conquista? Stop alla pubblicità predatoria. Niente più algoritmi che ti bombardano di annunci solo perché hai visitato un sito LGBTQIA+ o cercato informazioni sulla transizione di genere. Il DSA vieta categoricamente di usare orientamento sessuale, identità di genere o religione per targetizzare le persone – una protezione che sembrava fantascienza fino a ieri. I minori LGBTQIA+ ottengono una corazza speciale: filtri automatici contro la profilazione li proteggono da bullismo digitale, outing involontari e contenuti d’odio. Per ragazzi spesso già vulnerabili, è una boccata d’ossigeno.
Altra novità rivoluzionaria: i ‘trusted flaggers’. Immaginate organizzazioni per i diritti civili che possono intervenire direttamente quando un contenuto LGBTQIA+ viene censurato ingiustamente. Le loro segnalazioni avranno priorità assoluta – finalmente qualcuno che rappresenta la comunità nei corridoi del potere digitale. Ma c’è anche un lato oscuro, la definizione vaga di ‘contenuto illegale’ potrebbe scatenare una censura preventiva. Le piattaforme, terrorizzate dalle mega-multe (fino al 6% del fatturato globale), potrebbero preferire cancellare tutto piuttosto che rischiare. Risultato? Post sull’attivismo, critiche alle istituzioni o semplicemente racconti di esperienze queer potrebbero sparire nel nulla, etichettati erroneamente come ‘problematici’. È già successo in passato e potrebbe peggiorare.
L’appello finale
Il DSA è uno strumento potentissimo, ma senza la voce attiva della comunità LGBTQIA+ rischia di restare lettera morta. Partecipare alle consultazioni, monitorare le decisioni, organizzarsi: solo così trasformeremo questa legge da promessa a realtà concreta per i diritti digitali.