
Tra celebrazioni, rivendicazioni e nuove sfide
Si è appena concluso il mese del Pride 2025, un appuntamento che, come ogni anno, ha visto scendere in piazza milioni di persone in tutto il mondo per celebrare l’orgoglio LGBTQIA+ e ricordare le battaglie ancora in corso. In Italia, il calendario è stato fitto di eventi, con oltre 40 Pride organizzati da nord a sud, coinvolgendo grandi città come Milano, Roma, Napoli, Torino e Bologna, ma anche centri più piccoli come Pavia, Lecce, Arezzo e Sassari, a conferma di una rete sempre più capillare.
Le piazze: partecipazione e consapevolezza
Le manifestazioni hanno registrato una forte partecipazione, segnale di una comunità viva e determinata, ma anche di una crescente solidarietà da parte della società civile. Secondo le stime delle associazioni organizzatrici, il Roma Pride ha superato le 900.000 presenze, mentre a Milano si è raggiunta quota 350.000. Molto partecipati anche i Pride di Napoli e Torino, che si confermano luoghi di attivismo e visibilità.
Al centro dei cortei, oltre alla festa e ai colori, sono emerse con forza le rivendicazioni: diritti per le famiglie omogenitoriali, tutela delle persone trans e non binarie, contrasto alla violenza e alla discriminazione, approvazione di una legge contro l’omo-lesbo-bi-transfobia, ancora assente nel nostro ordinamento dopo la bocciatura del DDL Zan nel 2021.
Uno sguardo all’Europa: tra aperture e resistenze
Anche nel resto d’Europa il mese del Pride ha offerto uno spaccato interessante. A Madrid, il World Pride ha attirato oltre un milione di persone, confermandosi uno degli eventi più partecipati del continente. Berlino e Amsterdam hanno visto cortei affollati e ricchi di contenuti politici, mentre a Parigi e Bruxelles le manifestazioni hanno sottolineato il legame tra diritti LGBTQIA+ e democrazia europea.
Colpisce in particolare il caso dell’Ungheria, dove, nonostante un clima politico ostile e leggi restrittive, il Pride di Budapest ha registrato una partecipazione numerosa e visibile, con migliaia di persone scese in piazza. Un segnale tutt’altro che scontato, che conferma come anche in contesti meno favorevoli la comunità e i suoi alleati trovino forza e coraggio per rivendicare spazi di libertà e dignità. In Polonia, invece, alcune marce si sono svolte sotto stretta sorveglianza e con limitazioni, ma senza gravi incidenti.
In contesti diversi, i Pride europei dimostrano quanto il cammino verso l’uguaglianza non sia omogeneo, e come l’Unione Europea debba ancora lavorare per garantire diritti e tutele comuni.
Le istituzioni italiane: aperture timide e silenzi assordanti
Sul piano istituzionale, il mese del Pride ha visto qualche apertura, ma anche molte ambiguità. Il Presidente della Repubblica ha ribadito, con un messaggio formale, l’importanza di contrastare l’odio e promuovere una società inclusiva, mentre diversi sindaci e governatori hanno partecipato alle manifestazioni o concesso il patrocinio ufficiale, spesso accompagnato dall’esposizione della bandiera arcobaleno sugli edifici pubblici.
Di contro, il governo centrale è rimasto silente, con alcuni esponenti della maggioranza che hanno criticato l’evento o espresso posizioni conservative, soprattutto sul tema dell’educazione sessuale nelle scuole e del riconoscimento dei figli delle coppie LGBTQIA+. In diverse città si sono registrati episodi di censura simbolica, come il diniego del patrocinio o il rifiuto di approvare mozioni pro-Pride nei consigli comunali.
Temi emergenti e nuove generazioni
Un dato rilevante emerso da questo mese è la crescente visibilità delle persone trans e non binarie, spesso al centro di eventi, dibattiti e panel dedicati. La questione dell’accesso alle terapie ormonali, della rettifica anagrafica semplificata e del contrasto alla transfobia è stata molto presente nei discorsi pubblici, così come la richiesta di rappresentazioni più autentiche nei media e nella cultura pop.
Molto attivo anche il contributo delle nuove generazioni, che hanno portato in piazza linguaggi freschi, contenuti digitali e uno sguardo intersezionale alle lotte. Il Pride si conferma, quindi, un osservatorio privilegiato per leggere le trasformazioni del movimento LGBTQIA+, sempre più attento a includere le diversità interne e a connettersi con altre istanze di giustizia sociale, come il femminismo, l’antirazzismo e l’ambientalismo.
Un bilancio tra luci e ombre
Il Pride Month 2025 si chiude con un bilancio positivo in termini di partecipazione e visibilità, ma con molte questioni ancora aperte. La distanza tra la società – spesso più avanzata e inclusiva – e le istituzioni politiche resta marcata. Allo stesso tempo, la presenza di gruppi estremisti in alcune contromanifestazioni o l’aumento degli episodi di hate speech online indicano che il lavoro da fare è ancora lungo.
Ma se c’è un dato che emerge con chiarezza, è che il Pride non è solo una parata, ma un’occasione di consapevolezza collettiva. Un mese in cui si intrecciano memoria e futuro, diritti e desideri, politica e identità.