Il 17 settembre 2025 è un giorno che potrebbe segnare una svolta per molte coppie: la Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di scioglimento di un’unione civile, uno dei partner può chiedere un assegno di mantenimento. Una decisione che porta più giustizia e consapevolezza nei rapporti affettivi al di fuori del matrimonio.
Cosa ha deciso la Cassazione
La Prima Sezione Civile ha pronunciato una sentenza che, pur non modificando la legge, interpreta in modo evolutivo il diritto: una sorta di assegno “divorzile” può essere riconosciuto anche alle coppie unite civilmente, purché sussistano certe condizioni.
In sostanza, se chi lo richiede dimostra di non avere mezzi adeguati, che la relazione ha prodotto squilibri economici (ad esempio sacrifici professionali), che nel corso dell’unione ha svolto un apporto diretto alla vita comune, allora l’assegno può essere concesso con finalità assistenziale e perequativo-compensativa.
Il caso al centro della decisione riguardava una coppia di donne: una delle due aveva rinunciato (o rallentato) la propria carriera per favorire l’esistenza del progetto comune, chiedendo alla fine del rapporto un sostegno economico. I giudici hanno riconosciuto il fondamento della richiesta, sulla base dei principi che già valgono nel matrimonio.
Va notato che le unioni civili non prevedono la fase di separazione: si passa direttamente allo scioglimento del vincolo, senza le formalità del divorzio. Ciò implica che l’assegno non è “di separazione”, bensì di mantenimento post-scioglimento.
Perché è una sentenza importante
- Avvicinamento tra matrimonio e unione civile. La decisione colma parte del divario tra i due istituti: chi aveva contratto l’unione civile, infatti, ha meno tutele in caso di rottura. Ora, certe garanzie economiche potranno essere applicate analogamente in casi simili.
- Protezione del partner “più debole”. Spesso, la rottura lascia uno dei due in una condizione di difficoltà: chi ha sacrificato opportunità professionali o ha investito nella cura dell’altro ha diritto, secondo i giudici, a un ristoro.
- Non è un riconoscimento automatico. Va chiarito: l’assegno non si otterrà in ogni caso. Ogni domanda sarà esaminata singolarmente, valutando redditi, contributi effettivi, vissuto della relazione e durata. Non è un diritto “automatico”.
- Stimolo per il legislatore. La Cassazione ha fatto ciò che le compete interpretando la legge, ma la materia resta priva di una regolamentazione specifica per le unioni civili. In molti vedono nella sentenza una spinta affinché il Parlamento definisca criteri chiari e uniformi.
Le incognite da affrontare
- Certezza e uniformità: senza un “codice” scritto, le decisioni future potrebbero divergere da giudice a giudice.
- Verifica del sacrificio professionale: provare che si è rinunciato o rallentato la carriera per l’unione non è sempre semplice.
- Durata della relazione e contributi reali: come stabilire quanto conta l’investimento nella casa, nei figli, nel sostegno concreto?
- Ricorsi e contenziosi: la novità attirerà cause, anche strategiche, per definire i confini di questi nuovi diritti.
Un piccolo passo verso l’uguaglianza
Il riconoscimento dell’assegno di mantenimento per le unioni civili non è un traguardo definitivo, ma è comunque un passo denso di significato. Offre un’ulteriore tutela alle persone che hanno intrapreso (leggi: che sono stati costretti a intraprendere) modelli di vita diversi dal matrimonio, consegnando alla giurisprudenza un messaggio forte: i diritti non devono dipendere solo da come ci si lega legalmente, ma anche da come si vive la relazione.
Chi crede nella dignità delle relazioni e nella pari protezione per tutti può guardare a questa sentenza come ad un’apertura concreta, con tutte le sfide che ancora restano da superare.