I volti invisibili della guerra: quando essere LGBTQIA+ diventa una battaglia per sopravvivere - Connecting Spheres

I volti invisibili della guerra: quando essere LGBTQIA+ diventa una battaglia per sopravvivere

Mentre i riflettori si accendono sui grandi teatri di guerra del mondo, una realtà rimane spesso nell’ombra: quella delle persone LGBTQIA+ che vivono nei territori in conflitto. Per loro, la guerra non è solo bombe e proiettili, ma un ulteriore strato di vulnerabilità che si aggiunge a discriminazioni già radicate. 

Gaza: la bandiera palestinese oscura quella arcobaleno 

Nella Striscia di Gaza, dove i bombardamenti scandiscono le giornate, le priorità si ribaltano. ‘Non c’è orgoglio nell’occupazione’, racconta una donna queer palestinese al Guardian. Sotto le macerie, la bandiera palestinese ha acquisito un peso simbolico maggiore di quella arcobaleno: prima di tutto, bisogna esistere. 

Il giornalista Jad Salfiti, britannico-palestinese, apertamente queer, denuncia quello che definisce ‘pinkwashing militare’: l’uso strumentale dei diritti LGBTQIA+ per giustificare operazioni belliche. Per esempio, alcuni osservatori e attivisti sostengono che Israele abbia fatto leva sulla propria legislazione relativamente avanzata sui diritti LGBTQIA+ per presentarsi come un Paese progressista e democratico, in contrapposizione al contesto palestinese. Ma, evidenzia Salfiti, questa narrativa rischia di oscurare il fatto che le persone queer palestinesi vivono sia l’oppressione dell’occupazione sia quella dell’omofobia interna, e che quindi le loro vite non vengono affatto protette dalla retorica “inclusiva”. 

Inoltre: “Non si può celebrare il Pride in Occidente sapendo che da qui partono armi e fondi che supportano la distruzione delle persone queer palestinesi”, spiega. 

A Gaza, la situazione sanitaria aggrava ulteriormente le difficoltà: le cure per l’HIV sono praticamente interrotte, mentre in Cisgiordania organizzazioni come Al-Qaws subiscono interdizioni dalle autorità locali. Il caso di Ahmad Abu Murkhiyeh, decapitato per essere gay, rappresenta il tragico apice di una violenza sistemica. 

Ucraina-Russia: due facce della stessa medaglia 

Il conflitto russo-ucraino ha prodotto dinamiche opposte sui due fronti. In Russia, dove il movimento LGBTQ è stato etichettato come ‘estremista’, la repressione ha spinto la comunità nella clandestinità. Chi non fugge è costretto a nascondere la propria identità per sopravvivere. 

In Ucraina, paradossalmente, la guerra ha accelerato alcuni cambiamenti sociali. La partecipazione attiva di persone queer nelle forze armate ha migliorato l’accettazione pubblica e rilanciato il dibattito sulle unioni civili. Tuttavia, l’emergenza bellica blocca le riforme concrete, e la mancanza di riconoscimento legale crea problemi drammatici: i partner non possono prendere decisioni mediche o gestire questioni funerarie in caso di morte o ferimento del compagno/a. 

America Latina: violenza nell’ombra 

Anche l’America Latina vive le sue emergenze. In Ecuador, la ‘guerra interna’ contro i cartelli ha fatto crescere omicidi e abusi contro le persone LGBTQIA+, spesso ignorati dalle istituzioni. Le donne trans sono particolarmente nel mirino, vittime di aggressioni da parte di criminali comuni ma anche delle forze di sicurezza. 

L’abbandono istituzionale è evidente: le autorità tendono a minimizzare o ignorare questi crimini, lasciando le comunità queer senza protezione in un contesto già estremamente pericoloso. 

La resistenza quotidiana 

Eppure, in mezzo a tanta oscurità, emergono gesti di resistenza straordinari. Dall’attivismo coraggioso di chi non si arrende, alla solidarietà transnazionale che attraversa i confini, fino al semplice ma rivoluzionario desiderio di vivere in modo autentico e dignitoso. 

Per le persone LGBTQIA+ in zona di guerra, la battaglia per l’identità si trasforma in una questione di pura sopravvivenza. Come sintetizza efficacemente uno degli attivisti intervistati: “Prima esistere, poi essere”. 

Il diritto alla pace non è solo la fine delle ostilità, ma la possibilità di costruire società dove nessuno debba nascondere chi è per rimanere in vita. Una lezione che va ben oltre i teatri di guerra, raggiungendo tutti quei luoghi dove l’essere diversi continua a rappresentare un pericolo mortale. 

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